Secondo il governo è uno strumento per tagliare i tempi, mentre secondo Cgil e Uil, che hanno indetto una manifestazione per sabato primo aprile, aprirebbe le porte allo smantellamento delle tutele e al rischio di corruzione e riciclaggio.
Il nuovo Codice degli appalti, varato nel Consiglio dei ministri di ieri 28 marzo e che molto probabilmente verrà pubblicato in Gazzetta Ufficiale entro il 31 marzo per rispettare le scadenze concordate con l’Ue (fa parte di quelle riforme incluse nel Pnrr, una cosiddetta ‘milestone’), viene considerato dal ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini “uno strumento rivoluzionario in mano a imprenditori e sindaci” per snellire, accelerare e semplificare l’iter degli appalti, mentre la Cgil e Uil ne danno una valutazione del tutto opposta.
I due sindacati considerano infatti questo testo, che dovrebbe entrare in vigore dal primo luglio prossimo, come un salto all’indietro di mezzo secolo “in termini di legalità, trasparenza e tutela dei lavoratori”, individuando essenzialmente tre punti critici.
Il primo è relativo alla soglia per gli appalti in affidamento diretto o su invito (in entrambi i casi senza gara) che sale a 5 milioni e 380mila euro. Includendo quindi fino all’80% degli appalti pubblici. In particolare, fino a 150mila euro si può procedere con affidamento diretto, da 150mila a 1 milione di euro con una procedura negoziata senza bando (è sufficiente invitare cinque imprese); dal milione ai 5,38 milioni di euro vale la stessa procedura con il numero delle imprese da invitare che sale a dieci. Se Matteo Salvini sottolinea il risparmio di tempo, stimato da sei mesi a un anno, i sindacati evidenziano il concreto rischio di formazione di cartelli con patti più o meno taciti tra aziende, corruzione e poca trasparenza.
In secondo luogo il nuovo Codice prevede un ampliamento della figura dell’appalto integrato, nel quale le stazioni appaltanti hanno la facoltà di affidare sia la progettazione esecutiva che la realizzazione dei lavori a un unico soggetto sulla base di un progetto di fattibilità tecnico-economica approvato. Il progettista, dunque, potrà essere anche esecutore, e non solo per le opere complesse e sopra i 100 milioni di euro di valore come previsto dalle norme attuali, ma per qualsiasi tipo di lavoro, indipendentemente da complessità e importo. Il progettista/esecutore avrà inoltre la facoltà di decidere le varianti e i relativi aumenti di costo, anche questo ritenuto un aspetto particolarmente critico.
Il terzo elemento che ha sollevato i dubbi dei sindacati riguarda i subappalti, i quali vengono liberalizzati senza limiti: si parla infatti del cosiddetto subappalto “a cascata”. Anche in questo caso, si correrebbe il rischio che questa facoltà venga sfruttata per eludere le norme fiscali, nonché quelle sui contratti e in materia di sicurezza. Si potrebbero infatti verificare fenomeni di “dumping” sui costi: il livello più basso del subappalto, per poter guadagnare, potrebbe risparmiare su materiali, attrezzature, salari, obblighi di sicurezza.
Il nuovo Codice avrà un impatto estremamente rilevante: si prevede infatti che i suoi effetti riguarderanno circa 200 miliardi di euro annui di appalti pubblici (esclusi quelli del Pnrr che ricadono sotto la disciplina del decreto Semplificazioni varato dal governo Draghi). Inoltre, il testo normerà sia i lavori ordinari, riguardanti ad esempio le autostrade e le ferrovie, le scuole e gli ospedali, i servizi energetici, informatici e di manutenzione per la Pubblica Amministrazione, sia gli eventi straordinari come il Giubileo a Roma e il Ponte sullo Stretto (qualora si arrivasse davvero alla sua realizzazione).
Oltre ai sindacati, hanno sollevato perplessità l’Anac, l’Autorità anticorruzione, con il suo presidente Giuseppe Busia che mette esplicitamente in guardia sul fatto che “soglie troppo elevate per gli affidamenti diretti rendono meno controllabili gli appalti minori”, e l’Anci, l’Associazione dei sindaci. Inoltre, il PD e l’ex ministra per le Pari Opportunità Elena Bonetti di Italia Viva sottolineano come nel nuovo Codice siano saltate le norme relative agli incentivi per l’occupazione giovanile e il superamento del gap di genere: la premialità riservata alle imprese che assumono i giovani e le donne, già prevista nella legge delega di Draghi all’origine del nuovo testo, viene eliminata.