L’agire tecnico rappresenta una minaccia o un’opportunità? Proponiamo alcune riflessioni prendendo spunto dall’interessante articolo di Sara Dichirico “L’essere tecnico dell’uomo” pubblicato su Gazzetta Filosofica.
L’autrice parte dalla premessa che sia destinato al fallimento qualsiasi tentativo di conoscere in modo assoluto e universale l’essere umano. La nostra esistenza è infatti dominata dalla mutevolezza; il “tutto scorre” di Eraclito include anche noi, facciamo parte come ogni altra cosa del fiume che non è mai uguale a se stesso. Dare una definizione di cosa sia l’essere umano è come scattare una fotografia: essa non può che immortalare un preciso istante, che è diverso dall’istante precedente e da quello successivo, è un momento determinato che riguarda forse una maggioranza di soggetti, ma inevitabilmente tiene fuori una minoranza.
“Ogni essere umano non è mai identico né a se stesso né a nessun altro […], è vittima del caos e di forze che lo dominano, ma è anche artefice di impercettibili spostamenti alla base di grandi cambiamenti” afferma Dichirico, sottolineando la dinamicità dell’essere umano e quella che Albert Bandura, psicologo di orientamento socio-cognitivo, ha definito agentività, ossia la capacità di generare azioni indirizzate a determinati scopi e obiettivi, un agire intenzionale all’interno del contesto sociale di appartenenza.
Inoltre, sottolinea Dichirico, qualsiasi astrazione tralascia necessariamente gli aspetti particolari delle cose e degli esseri viventi, ma tali aspetti specifici sono determinanti nella definizione della natura di ogni singolo ente. Alla base della nostra esistenza vi è dunque la mutevolezza, ed è proprio attraverso la tecnica, che negli ultimi decenni ha visto un’accelerazione esponenziale, che il cambiamento trova la sua concretizzazione.
Per millenni la tecnologia è stata quasi esclusivamente al servizio della sopravvivenza della nostra specie e della facilitazione delle attività umane (la ruota, l’aratro, la macina…); attraverso varie fasi storiche e soprattutto a partire dalla Rivoluzione industriale ha progressivamente scavalcato questi confini permettendo di raggiungere traguardi ritenuti impensabili: basti considerare le tecnologie che ci permettono di esplorare lo spazio o il corpo umano, quelle che permettono di connettere tra loro miliardi di persone, quelle che stanno dando origine a Intelligenze Artificiali sempre più sofisticate.
“La tecnologia, che sta modificando l’esistenza dell’essere umano”, scrive dunque Dichirico, “ci spinge a ripensare i confini della natura umana”. Abbiamo visto come l’agire tecnico abbia permesso all’uomo di compensare i suoi connaturati limiti biologici per sopravvivere in un ambiente pericoloso, ma non solo: l’ha reso padrone di se stesso e della natura. Ciò ha consentito la possibilità di formare le varie società e culture, “nature secondarie e artificiali” all’interno delle quali l’uomo ha potuto darsi organizzazioni autonome e complesse non più rigidamente sottoposte alle leggi di natura.
Tuttavia, sottolinea opportunamente Dichirico, “il potere che l’uomo ha tra le sue mani, non lo legittima a compiere qualsiasi tipo di azione”: in sostanza, non tutto ciò che può essere fatto deve per forza essere fatto. Prendiamo in considerazione quanto sta accadendo in questi giorni nel Mar Baltico nell’ambito della guerra tra Russia e Ucraina: secondo alcune fonti militari, la Federazione Russa starebbe schierando jet e sottomarini dotati di armamenti nucleari. Gli analisti valutano queste azioni come prove di forza e ritengono molto implausibile un utilizzo di tali armi; tuttavia, il fatto che esista la possibilità che esse vengano lanciate è sufficiente a creare una profonda angoscia e a ricordarci quanto breve sia il passo che ci separa dal nostro stesso annientamento.
La tecnica ha trasformato e sta trasformando radicalmente la nostra esistenza, ma è uno strumento che è necessario direzionare in modo critico e responsabile, in una prospettiva di salvaguardia e rassicurazione, non certo di minaccia e distruzione. A guidarci dovrebbe essere la voce – purtroppo affievolita, come riconosce Dichirico – degli intellettuali, di coloro che sanno applicare un pensiero da un lato etico e consapevole e dall’altro slegato dalle logiche particolaristiche che sembrano invece indirizzare gran parte delle scelte dei singoli e delle collettività; e questo per evitare che l’agire tecnico, cieco se non criticamente orientato, ci schiacci.