“Dieci cose che ho imparato” di Piero Angela (seconda parte)

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Piero Angela - Dieci cose che ho imparato
Piero Angela - Dieci cose che ho imparato

Informazione, ambiente e futuro sono solo alcuni temi che Piero Angela affronta nella seconda parte del suo libro, partendo dai dati e sviluppando su di essi riflessioni tanto lucide quanto attuali.

Per leggere la prima parte della recensione, andate qui: “Dieci cose che ho imparato” di Piero Angela (prima parte)

Sangue, sesso, soldi e salute

“La mancata comprensione del ruolo di scienza e tecnologia […] non dipende soltanto dai ritardi culturali di cui abbiamo parlato. È il modo stesso in cui funziona l’informazione che rende difficile affrontare questi problemi complessi.”

Per esaminare il funzionamento dell’informazione, Piero Angela fa riferimento soprattutto alla televisione, alla quale possiamo però affiancare le tecnologie digitali, sempre più rilevanti nella diffusione delle notizie. Ormai milioni di utenti si informano attraverso device portatili accedendo a siti internet, o sfruttando i social network o i servizi di messaggistica istantanea; in questo panorama, la distribuzione dei giornali cartacei è sempre più in crisi, così come è a picco la vendita dei libri (secondo l’Istat, nel 2020 solo il 41,4% degli italiani con più di 6 anni ha letto un libro).

Dunque la televisione e internet rappresentano di fatto il solo “aggancio culturale col proprio tempo, per conoscere e capire le grandi trasformazioni che stanno avvenendo.” Ma quali sono, generalmente, le notizie che dominano i telegiornali e le homepage dei siti, o che vengono rilanciate più spesso nei feed dei social? Quasi sempre, troviamo notizie che ricadono nelle categorie delle quattro “s”: il sangue, ovvero qualsiasi fatto cruento, dagli incidenti agli omicidi; il sesso, ossia qualsiasi scandalo e gossip alimentato dallo spasmodico interesse per la vita privata di personaggi più o meno famosi; i soldi, con tutto ciò che ruota intorno agli aumenti dei prezzi, alle tasse, all’ammontare delle pensioni e via dicendo; infine la salute, con lo sbandieramento di cure alternative e sempre miracolose, categoria che negli ultimi anni ha dilagato ovunque col tema dei vaccini.

Il meccanismo è semplice e ormai ben noto: per “fare notizia”, un’informazione deve coinvolgere emotivamente il pubblico, e questo “aggancio” sarà tanto più intenso quanto più la notizia sarà spettacolare, sconcertante, catastrofica e in grado di generare polemiche. Ad esempio, di recente il mondo della scuola è tornato sotto i riflettori per alcune dichiarazioni del ministro dell’Istruzione (subito smentite) riguardo alla possibilità di differenziare su base geografica il salario dei docenti (qui ricadiamo nella categoria “soldi”); ma quanto si parla di come avere scuole che preparino meglio gli studenti, di come avere università che siano centri di eccellenza, di come incentivare l’innovazione e la ricerca, di come diffondere la conoscenza e alzare il livello culturale della popolazione? Oltre che di contenuti complessi da affrontare, si tratta anche di temi meno eccitanti rispetto a possibili interventi sugli stipendi: e così argomenti di questo tipo scivolano ai margini della programmazione, ammesso che arrivino a farvi parte.

Il ruolo dei canali pubblici d’informazione

Il difficile è proprio questo: far entrare nei palinsesti proposte che esulino dalle categorie delle quattro “s” e che si occupino di far capire il ruolo della scienza e della tecnologia nello sviluppo della società. I due potenti alleati a disposizione di chi voglia tentare quest’impresa, e ai quali Angela ha fatto proficuamente ricorso nei suoi programmi e nei suoi contenuti, sono principalmente due: la chiarezza di linguaggio e la creatività. Trasmissioni come SuperQuark hanno raggiunto ottimi livelli di ascolto per decenni, e questo grazie alla passione e all’intelligenza con le quali sono state realizzate e proposte al pubblico.

Bisognerebbe fare il possibile per sottrarre, almeno per quanto riguarda la televisione pubblica, la programmazione culturale alla “legge dello share”, e anche su questo tema Angela ricorda le responsabilità della politica. Un cambiamento del sistema è possibile solo alla luce di una chiara volontà politica orientata verso una maggiore attenzione nei confronti della diffusione della cultura. Ciò non significa lezioni di fisica o di chimica in prima serata, oppure la cancellazione dei programmi più “leggeri” di intrattenimento, quanto la creazione di format divulgativi che aiutino a capire meglio il mondo contemporaneo e le sue velocissime trasformazioni.

Il ruolo cruciale della comunicazione

Una comunicazione fatta bene, basata sulla chiarezza e sulla creatività, è fondamentale per “far passare” argomenti che normalmente sono ritenuti noiosi e poco interessanti (servirebbe innanzitutto a demolire questa credenza, mostrando come la cultura possa essere appassionante e arricchente).

Si tratterebbe dunque di utilizzare la stessa leva usata da gran parte dell’informazione a favore di una diffusione maggiore e più capillare (non rivolta solo agli specialisti del settore, insomma) di contenuti culturali e scientifici: parliamo dell’emotività. Ricerche sul funzionamento del cervello e sulla memoria sono infatti concordi nel mostrare come l’emozione giochi un ruolo importantissimo nei meccanismi legati all’attenzione, alla motivazione e all’apprendimento.

È il frutto della nostra eredità biologica, che ci portiamo dietro fin da quando l’Homo Sapiens è apparso sulla Terra, circa 200.000 anni fa, e che ci ha permesso di sopravvivere nonostante non fossimo particolarmente forti, robusti o veloci se paragonati ad altre specie. “Questo complesso sistema di risposte emotive, strategie istintive e comportamenti che nei nostri remoti progenitori assicurava la sopravvivenza è dunque ancora presente in noi, perché non si cancella in 10.000 anni (dalla Rivoluzione agricola, per tenerci larghi) o in 260 anni (dalla Rivoluzione industriale, per essere più rigorosi) quello che si è interiorizzato in almeno 190.000 anni”, sottolinea Angela.

Secondo questa ipotesi biologico-evolutiva, possediamo un “pilota automatico mentale” che sposta meccanicamente e inconsapevolmente la nostra attenzione sui fatti legati alle quattro “s”, sangue, sesso, soldi e salute, limitando la nostra capacità di valutare fatti più complessi non ritenuti di immediata importanza e rendendoci vulnerabili alle semplificazioni e alle promesse che ci seducono con il “tutto e subito”.

Occorre dunque portare alla superficie questo meccanismo, perché solo la consapevolezza della posta in gioco permette una reale presa di coscienza dei problemi, e ciò può anche aiutare i politici a prendere certe decisioni, anche scomode. Pensiamo al tema della protezione dell’ambiente, legato a doppio filo a quelli dell’energia e della produttività: una maggiore consapevolezza da parte delle persone (cioè degli elettori) è determinante nell’assunzione di decisioni che in prima battuta appaiono gravose (il risparmio energetico, la conversione a modelli sostenibili di produzione e così via), ma che sul lungo periodo potrebbero rivelarsi fondamentali nella salvaguardia del nostro ecosistema. Ed è proprio a questo argomento che Angela dedica un lungo capitolo del suo libro.

Ambiente ed energia

Questa parte inizia, non a caso, con una sezione intitolata “Perché le soluzioni non sono facili”. Angela elenca alcuni aspetti che influenzano la questione e dai quali non si può prescindere se si vuole portare avanti un discorso serio, saldamente ancorato alla realtà. Se da un lato il desiderio di tutti è quello di proteggere l’ambiente mantenendo contemporaneamente i benefici derivanti dall’uso dell’energia (trasporti, riscaldamento, qualsiasi tipo di produzione industriale, ecc.), dall’altro non si possono azzerare di colpo le fonti inquinanti come petrolio, carbone e gas che pesano ancora per circa l’80% nelle economie più avanzate.

Ancora: se da una parte abbiamo alcuni paesi, generalmente i più ricchi, che si stanno impegnando per sviluppare le fonti di energia verde, dall’altra abbiamo molte economie in via di sviluppo che rivendicano il loro diritto alla crescita utilizzando i mezzi più efficienti a loro disposizione, e nella quasi totalità dei casi parliamo di quelli più inquinanti: carbone, petrolio e gas.

Un altro punto fondamentale riguarda la politica, le cui decisioni sono naturalmente influenzate dal consenso elettorale, consenso che si ottiene (ed è anche giusto) proponendo soluzioni ai problemi immediati; i rischi climatici appaiono invece qualcosa di lontano, di nebuloso, che potrà o meno concretizzarsi, e dunque vengono percepiti come meno pressanti da risolvere. La politica dovrebbe prendere decisioni costose che l’elettorato potrebbe non capire e non accettare, anche perché è ancora assente una vera motivazione ad affrontare il problema del cambiamento climatico. Greta Thunberg e molti altri attivisti per il clima hanno creato un movimento partecipato su scala planetaria, ma che resta pur sempre minoritario rispetto alla stragrande maggioranza della popolazione che ritiene più urgente la risoluzione delle questioni legate al lavoro, al reddito, alla crescita economica.

Siamo quindi destinati ad andare a sbattere contro le conseguenze del cambiamento climatico? Non è detto. Angela fa una rassegna rapida ma puntuale di tutte le fonti di energia alternative a quelle fossili, concludendo che sì, stiamo facendo dei passi nella giusta direzione, ma che dovremmo andare più veloci e puntare con maggiore decisione sulle contromisure che possiamo adottare immediatamente (come ad esempio la coibentazione degli edifici che permette di tagliare le emissioni e di abbattere le bollette), in attesa di sviluppare fonti di energia efficienti e affidabili al pari di quelle fossili.

Demografia

L’ultimo tema affrontato da Angela riguarda la demografia e il suo crollo. Già dagli anni ’80 siamo scesi sotto la soglia dei 2,1 figli per donna necessari a garantire il ricambio generazionale, fino ad arrivare ai catastrofici dati del 2021: anche a causa della pandemia, il saldo tra nascite (399.000) e decessi (704.000) si attesta sulle –305.000 unità. Tra la fine del secolo scorso e l’inizio del 2000, il calo della popolazione è stato riequilibrato dall’arrivo degli immigrati, ma il loro numero ha smesso di crescere da qualche anno: le donne di origine straniera si sono attestate sul numero di figli di quelle italiane e molte delle persone che oggi arrivano in Italia sono solo di passaggio sulla strada per altri paesi, Germania, Francia e Gran Bretagna in testa.

Come abbiamo ricordato in questo articolo, “Declino demografico e mercato del lavoro”, il mancato ricambio generazionale potrebbe portare da una parte a una diminuzione troppo drastica della popolazione, e dall’altra a un suo generale invecchiamento. “Se si assottiglia la fascia di produttori di reddito (e di pagatori di tasse), nelle casse dello Stato affluiscono meno soldi per pagare i servizi sociali, la scuola, gli ospedali, la polizia, l’università, le infrastrutture, l’energia, ecc.”, ammonisce Angela. La soluzione non potrà che essere duplice: una maggiore produzione da un lato con più gente che lavori, e una maggiore efficienza dall’altro con investimenti nell’innovazione, nella ricerca, nelle nuove tecnologie, ecc. “Tutte cose”, sottolinea però Angela, “in cui l’Italia è in grave ritardo.”

Conclusioni

“Sulla consolle dei comandi non si contano le spie d’allarme che si sono accese e lampeggiano furiosamente […] il crollo demografico, la mancanza di comprensione del ruolo di scienza e tecnologia, gli scarsi investimenti in ricerca, l’illusione che la politica produca ricchezza, la vulnerabilità a slogan […] del “tutto e subito”, un’informazione (dalla televisione ai giornali, al web) dominata, troppo spesso, dall’emotività […], la striminzita crescita della produttività, i cambiamenti climatici, il merito che non viene riconosciuto” […] eppure, nonostante gli allarmi che richiederebbero azioni molto rapide, non accade nulla o quasi.

Perché?, si chiede Angela. Forse il futuro interessa poco? Lucidamente, Angela sottolinea come il futuro personale, proprio e della propria famiglia, interessi eccome; è su quello collettivo che nessuno, apparentemente, è disposto a investire. Eppure, le scelte miopi sul piano collettivo avranno effetto su tutti, individualmente. Ciò di cui ha bisogno il nostro paese, evidenzia Angela, sono beni immateriali come conoscenza e valori, beni che sono intrecciati tra di loro in modo inscindibile: per sviluppare il sapere, l’intelligenza e l’inventiva è indispensabile porre alla base il merito, la lealtà, la correttezza.

“Questi beni immateriali sono trasversali a qualunque politica. Rappresentano la vera ricchezza di una società, perché sono i motori del cambiamento e consentono di creare in continuazione risorse e distribuirne i benefici.” È questa la rivoluzione di mentalità auspicata da Angela, una rivoluzione che non può non partire dalla cultura e dalla sua valorizzazione, e dal volgere lo sguardo non solo sugli affari correnti, ma anche su un orizzonte più lontano.