Sanità, scuola, trasporti: un’inchiesta di Repubblica evidenzia l’aggravarsi del divario tra Nord e Sud sia in termini di sviluppo che di servizi pubblici offerti.
“Siamo una nazione a due velocità in economia e nei servizi ai cittadini”: potrebbe essere questa la sintesi dell’approfondimento di Repubblica sul divario Nord-Sud in Italia, paese nel quale, come confermano i dati riportati dalla ricerca, nascere in luoghi diversi significa essere destinati a vivere due diverse forme di cittadinanza: quella riservata al Nord e ad alcune aree del Centro che assicura uno standard di servizi quantomeno dignitoso, e quella invece riservata al Sud e alle Isole, con uno standard nettamente inferiore.
Ad aggravare la situazione è il fatto che proprio laddove c’è minore sviluppo economico si registra anche una minore presenza dello Stato e dei servizi pubblici offerti. Lo svantaggio del Sud e delle Isole è dunque doppio, e molti diritti riguardanti sia la sfera personale che quella professionale rimangono tali solo sulla carta. Parliamo di opportunità lavorative e di studio; di accesso ai servizi sanitari e a servizi territoriali per bambini, anziani e soggetti fragili; della facoltà di potersi spostare senza gravi disagi anche senza la macchina; di poter usufruire di impianti sportivi, biblioteche, cinema, teatri e altri luoghi della cultura. Tutte opportunità che in molte aree del Sud e delle Isole sono assenti o ridotte ai minimi termini.
Secondo i dati Istat (pubblicati nel 2019 e risalenti al 2018; con la pandemia e l’inflazione degli ultimi mesi potrebbero essere ulteriormente sbilanciati), la spesa pro-capite per interventi e servizi sociali dei comuni italiani vede un notevole divario: passiamo dai 177 € del Nord-est, i 133 € del Nord-ovest e i 137€ del Centro ai 122 € delle Isole e i 58 € del Sud. Una certa disparità è inevitabile sia per la geografia dei luoghi sia per lo sviluppo economico che storicamente hanno avuto le diverse zone d’Italia, ma un rapporto di 3:1 tra il Nord-est e il Sud è inaccettabile; prendendo in considerazione i poli estremi, Bolzano con 540 € e la Calabria con 22 €, diventa immediatamente chiaro come si tratti di una situazione di gravissima disuguaglianza.
Questa “disuguaglianza di luogo” si traduce ad esempio in una minore aspettativa di vita: una donna di Bolzano vive in media 4 anni in più di una donna campana o calabrese. La responsabilità degli anni di vita perduti in tutto il Sud è ascrivibile ai tumori, e ciò è in larga parte dovuto alle carenze della sanità locale che non riesce a garantire né diagnosi precoci, che in molti casi si rivelano fondamentali nella lotta alla malattia, né cure adeguate.
La situazione si è dunque ribaltata rispetto agli anni Ottanta, quando la speranza di vita dei residenti delle regioni settentrionali era di due anni inferiore in confronto a quelli delle regioni meridionali. Lo storico Silvio Lanaro parlava di “mortalità da progresso” dovuta all’inquinamento e allo stress lavorativo, mentre oggi è proprio quel progresso, ossia la possibilità di avere accesso a forme di prevenzione e cure migliori, a garantire una longevità maggiore.
Oltre alla sanità e alla possibilità di praticare uno stile di vita più salutare, incide sull’aspettativa di vita anche il livello di istruzione: chi è laureato arriva in media a 82 anni, mentre chi non lo è si ferma a 77. Una differenza di ben cinque anni dovuta al logoramento del corpo (chi è laureato solitamente non svolge lavori fisicamente pesanti) e alla possibilità di accedere a maggiori informazioni relativamente alla salute e alle cure per eventuali malattie.
Riguardo all’istruzione, i dati del Sud sono allarmanti anche per altri motivi: oltre la metà degli abbandoni degli studi da parte dei ragazzi con la licenzia media avviene proprio nel meridione; e mentre per i coetanei settentrionali parte consistente dell’abbandono è dovuta a un ingresso precoce nel mondo del lavoro, nel Mezzogiorno l’abbandono in moltissimi casi non è motivato dall’aver trovato un impiego.
Nelle regioni del Sud, inoltre, non solo si vive di meno – abbiamo detto che gli anni perduti possono arrivare fino a 4 – ma si nasce anche di meno. La crisi demografica, già in atto da decenni e che ha trasformato l’Italia in uno dei paesi più vecchi del mondo, secondo le previsioni di molti analisti è destinata a peggiorare soprattutto al Sud: tra cinquant’anni, la popolazione italiana complessiva potrebbe passare dagli attuali 59,2 milioni a 47,7 milioni, e degli 11,5 milioni di abitanti persi, 6,4 proverrebbero proprio dal Mezzogiorno. In pratica il Sud e le Isole perderebbero un abitante su tre.
Le differenze tra Nord e Sud toccano molti altri aspetti della vita delle persone, dai trasporti ferroviari (1.824 chilometri di binari in meno per il Sud con linee per lo più a binario unico e treni vecchi di almeno vent’anni rispetto a quelli del Nord), alla digitalizzazione (tutte le regioni sotto la media italiana, che già è bassa rispetto a quella europea, sono del Sud), all’università (-12% degli iscritti negli atenei del meridione negli ultimi anni).
Compito di una nazione dovrebbe essere quello di appianare le diversità nelle condizioni economiche e sociali, e ciò può essere fatto solo mitigando il più possibile le disuguaglianze. Nel nostro paese, invece, queste diversità – che lungi dall’essere solo dati statistici incidono direttamente e con forza sulla qualità della vita delle persone – sono andate cristallizzandosi nel corso dei decenni e si aggravano ad ogni crisi sistemica, diventando da una parte sempre più permanenti, e dall’altra continuando a erodere quel senso di appartenenza nazionale in molte aree già debolissimo.