La legge di bilancio 2023 presenta alcuni punti critici, tra i più rilevanti la rottamazione delle cartelle, la flat tax per le partite Iva e il Superbonus 110%.
In queste ore la legge di bilancio 2023 è all’esame della Camera, con i lavori parlamentari costretti a procedere a tappe forzate per rispettare la scadenza di fine mese ed evitare l’esercizio provvisorio. Gli emendamenti dell’ultimo minuto non dovrebbero stravolgere l’impianto generale, che secondo molti osservatori presenta aspetti critici, tra i quali la rottamazione delle cartelle, la flat tax per le partite Iva e le modifiche al Superbonus 110%.
La rottamazione-quater
Le disposizioni contenute nel disegno di legge di bilancio prevedono l’annullamento automatico dei debiti fiscali con importo residuo fino a mille euro comprensivo di capitale, interessi e sanzioni, e l’introduzione di una forma agevolata di pagamento dei debiti affidati agli agenti di riscossione tra il primo gennaio 2020 e il 30 giugno 2022, debiti che potranno essere estinti con il pagamento delle sole imposte dovute, senza interessi e sanzioni. Per quest’ultima formula è prevista anche una rateizzazione in cinque anni con interessi ridotti.
Secondo alcune analisi, questa rottamazione-quater, nella quale confluisce anche la rottamazione-ter, comporterebbe un effetto negativo per l’erario di circa 2,1 miliardi di euro, dei quali circa la metà, 1,2 miliardi, nel biennio 2023-2024.
Oltre a generare un’importante mancanza di introiti per lo Stato, i provvedimenti di condono o di rottamazione come questi riducono l’equità del sistema fiscale: due contribuenti che si trovano nella stessa condizione, ad esempio avendo ricevuto una cartella di pagamento per la stessa violazione tributaria, ricevono tuttavia un trattamento diverso. Chi ha pagato, rispettando la legge, si trova sicuramente danneggiato rispetto a chi non l’ha fatto, magari proprio in attesa di un condono. Quest’ultimo aspetto sembrerebbe confermato da uno studio dell’Agenzia delle entrate, secondo il quale le rottamazioni, o meglio la previsione di future rottamazioni, riduce la propensione dei contribuenti ad adempiere agli obblighi fiscali.
La flat tax delle partite Iva
Un altro provvedimento inserito nella legge di bilancio 2023 che viene giudicato iniquo da molti analisti è quello relativo all’estensione della cosiddetta “flat tax delle partite Iva”, portando dagli attuali 65mila a 85mila euro la soglia dei ricavi entro la quale lavoratori autonomi, professionisti e imprese possono optare per il regime forfettario, fermo al 15%, sfuggendo a tutta una serie di imposizioni fiscali (Irpef, addizionali regionali e comunali, Irap, Iva). Vi sono inoltre delle norme che riguardano la “flat tax incrementale” che prevede una tassazione del 15% sull’incremento di reddito rispetto al maggiore dei redditi dichiarati nei tre anni precedenti, ridotto del 5%, fino a un importo massimo di 40mila euro.
Secondo alcune simulazioni, questi provvedimenti, che hanno un costo non indifferente per lo Stato, 800 milioni, andranno a esasperare le differenze tra le aliquote dei dipendenti e quelle degli autonomi. Infatti, oltre i 25mila euro, l’aliquota media di questi ultimi diventa assai più bassa rispetto a quella dei dipendenti, mantenendo questo trend anche per livelli elevati di reddito. Tali nuove misure a favore dei titolari di partita Iva aumenterebbero dunque le distorsioni già presenti con la flat tax a 65mila euro, sollevando perfino dubbi di costituzionalità in quanto nulla giustificherebbe queste differenze di tassazione tra autonomi e dipendenti a parità di reddito.
Un altro effetto negativo, come per la rottamazione delle cartelle, sarebbe quello di stimolare calcoli di “convenienza fiscale” per rientrare nella soglia fissata e godere dei nuovi sconti. In conclusione si tratterebbe di una misura iniqua che non contrasterebbe in alcun modo l’evasione fiscale, che resta elevatissima: secondo alcuni dati, l’evasione Irpef degli autonomi si aggirerebbe addirittura intorno al 70%.
Il Superbonus 110%
Anche il Superbonus è al centro di interventi del governo, ma la direzione intrapresa non appare soddisfacente. Oltre a rendere più selettivo l’accesso al beneficio fiscale, la proposta è quella di aumentare da cinque a dieci gli anni in cui portare in detrazione il credito d’imposta. La soluzione, sulla quale la maggioranza sembra già avere ripensamenti, è giudicata non soddisfacente sia dalle banche, sia dalle sigle che rappresentano la filiera delle costruzioni. Secondo alcune stime, sarebbero oltre 30mila le imprese a rischio, con una perdita potenziale di 150mila posti di lavoro.
Una possibile soluzione, auspicata dalla rappresentanza degli istituti bancari, è quella della rimodulazione delle capienze fiscali per ampliare la capacità di acquisto dei crediti, scongiurando così la crisi di liquidità che sta colpendo molte aziende. La misura del Superbonus, oltra ad aver contribuito in modo molto rilevante al rimbalzo del Pil l’anno scorso, si è rivelata estremamente efficace nella riqualificazione energetica degli immobili: secondo uno studio di Gabetti Lab, il Superbonus ha permesso una riduzione del consumo di gas del 38%, abbattendo del 51% il fabbisogno energetico medio dei fabbricati oggetto di intervento. Oltre al risparmio di 1,1 miliardi di metri cubi di gas, sono state dimezzate le emissioni e migliorato il rendimento medio stagionale del rapporto tra calore fornito dalla caldaia e l’energia consumata.
Se lunedì 5 dicembre il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari aveva espresso parere negativo sulla proroga del termine del 25 novembre, due giorni dopo un’apertura è arrivata da Forza Italia per portare la scadenza a fine anno. Al ministero dell’Economia e Finanza è stato istituito un tavolo tecnico per trovare una soluzione alla questione della cessione del credito, nel tentativo di rispettare da una parte gli equilibri di finanza pubblica e dall’altra venire incontro alle numerose richieste del mondo imprenditoriale che rischia di vivere una crisi pesantissima.