Succede a Mosca, dove una mostra riscrive i rapporti tra aggressore e aggredito, alimentando la narrazione secondo cui Ucraina e Russia sarebbero “un unico spazio storico e spirituale”.
Il 4 novembre, nella Giornata dell’Unità nazionale, è stata inaugurata nel cuore della capitale un’esposizione dal titolo “Ucraina, a cavallo tra le epoche”. Con un chiaro intento: mostrare, attraverso un articolato percorso nelle sale del Maneggio, un edificio ottocentesco nei pressi del Cremlino e della Piazza Rossa, come la Russia e l’Ucraina siano una cosa sola.
Niente è stato lasciato al caso, neanche la scelta del giorno d’apertura. Celebrata sotto il regime zarista fino al 1917, la festività della Giornata dell’Unità nazionale venne messa da parte dai rivoluzionari bolscevichi dopo il rovesciamento dello Zar e la presa del potere. Al suo posto fu istituita la commemorazione della Rivoluzione d’Ottobre, ma con la caduta del governo comunista le cose sono cambiate di nuovo. Negli anni alla Rivoluzione è stato attribuito un significato radicalmente diverso e, da evento costituente dell’Urss, oggi viene considerata sotto tutt’altra luce, come una sorta di golpe che mal si colloca nella nuova narrazione del paese. Parallelamente a questo processo di revisione e desacralizzazione, ne è avvenuto un altro in senso opposto: molti simboli zaristi sono stati recuperati, primo fra tutti l’idea della Russia come grande potenza.
Quest’anno, la Giornata dell’Unità nazionale ha un riferimento inequivocabile: l’unità è quella tra Russia e Ucraina. Ne è convinto Putin e il suo apparato di governo, ne è convinta la grande maggioranza della popolazione. Per documentarla, la mostra del Maneggio torna indietro di oltre mille anni, al mito fondante russo, ossia la creazione della Rus’ di Kiev, il primo nucleo dal quale sarebbe nata la Russia moderna. Siamo in un periodo che va dal 980 al 1050 circa, e la Rus’ dominava su un territorio che oggi comprende, oltre alla Russia europea, l’Ucraina, la Bielorussia, la Moldavia, la Polonia, la Lituania, la Lettonia e l’Estonia. Territori che Mosca non ha mai smesso di considerare come facenti parte della propria sfera d’influenza.
È all’epoca della Rus’ che si riferisce lo storico Pjotr Tolochko, citato nella mostra, quando afferma che “Non potevano esserci ucraini, russi e bielorussi. Erano tutti russi con un’unica lingua e religione”. L’esposizione ricorda le figure storiche più significative, dai principi della Rus’, passando per Caterina la Grande, fino alla nascita dell’Ucraina moderna con Lenin. È una coincidenza, o un destino, che i personaggi coinvolti nella storia di ieri e di oggi siano legati da un filo rosso, il nome: Vladimir, uno dei principi fondatori della Rus’ di Kiev; Vladimir Ilic Uljanov, vero nome di Lenin; Vladimir Vladimirovic Putin e Volodymyr (versione ucraina di Vladimir) Zelensky.
L’operazione di revisione che ha portato a una sostanziale svalutazione dell’esperienza sovietica si traduce in una netta critica alla suddivisione del vecchio impero zarista operata dai bolscevichi. I confini tra le Repubbliche non erano percepiti come confini di Stato veri e propri, viene spiegato nella mostra, e l’Ucraina indipendente altro non è se non una creazione dell’Occidente, una barriera tra Europa e Russia per negare il passato “che unisce” e riscrivere la storia in senso anti-russo.
A non essersi piegati a questa mossa geopolitica occidentale, riportano i pannelli esposti nelle sale del Maneggio, sono stati gli abitanti del Donbass e della Crimea: milioni di persone di lingua e cultura russa che hanno rivendicato le proprie origini e la propria appartenenza alla Russia “storica”, quella prerivoluzionaria, denunciando “segni di genocidio nel Donbass” e una chiara “minaccia alla sovranità della Russia”. Ecco dunque pienamente giustificate l’annessione della Crimea del 2014 e l’operazione militare speciale cominciata il 24 febbraio scorso.
“Le radici di Russia e Ucraina sono le stesse. Siamo stati divisi in modo artificiale”; “I soldati russi combattono contro il nazionalismo ucraino e gli sforzi dell’Occidente di annientare la Russia”: queste le dichiarazioni di alcuni visitatori della mostra. Una ragazza di Donetsk di origine russa offre quello che forse è il commento più illuminante (ma certamente non consolante): “Le bombe le ho viste con i miei occhi. Ma la storia può essere interpretata in tanti modi”. Bombe che cercano di rovesciare una democrazia legittima o che cercano di liberare una popolazione, quella filorussa, oppressa?
Secondo Lev Gudkov, sociologo e direttore del Levada Center, un istituto per sondaggi, Putin non avrebbe alcun dubbio. Il leader del Cremlino, spiega Gudkov, “è una creatura del Kgb, pilastro del partito al potere nell’ex Urss, e sente i vincoli che lo incatenano geneticamente al passato sovietico e di quel passato mantiene il sentimento di grande potenza e lo spirito imperiale. Al tempo stesso, però, il suo mantra è quello di restaurare la stabilità dopo il rivolgimento seguito al crollo dell’Urss e riportare la Russia ai fasti del passato. Perciò ha commemorato con entusiasmo i 400 anni della dinastia Romanov o il 70° anniversario della vittoria sul nazismo: ben esaltavano la grandezza imperiale della Russia. Nel 1917, invece, non vede nessun mito edificante”.
In un’altra intervista, Gudkov afferma come Putin sia certo della fedeltà della maggior parte dei russi. A supporto di questa tesi, cita i risultati dei sondaggi del suo Istituto: “Il sostegno nei confronti dell’operazione militare speciale è stabile intorno al 74-77%. Aveva raggiunto il suo picco a marzo quando arrivò all’81%”. Un sostegno basato sul cosiddetto “consenso organizzato”, ossia una censura quasi totale e la propaganda. Che in Russia è cominciata già nel 2004, quando Kiev ha iniziato a parlare di adesione all’Unione europea e alla Nato.
I tre pilastri sui quali gli apparati di potere hanno battuto con insistenza sono stati le elezioni ucraine del 2014, interpretate come un golpe a opera degli Usa, l’arrivo al potere dei “nazisti” e la narrazione della Russia come grande potenza. L’annessione della Crimea e i primi successi dell’invasione del 24 febbraio hanno fatto impennare il gradimento di Putin, ma col passare del tempo, secondo Gudkov, è possibile che crescano i dubbi in merito a quanto trasmesso dalla televisione di Stato e dagli altri media allineati.
Il consenso verso la leadership del Cremlino potrebbe sfaldarsi solo se la censura si allenterà e filtreranno informazioni più veritiere sull’andamento della guerra e sull’entità delle perdite. Fino a quel momento è probabile che il popolo russo mantenga la sua lealtà nei confronti del regime, restando quindi nella convinzione che l’Ucraina sia effettivamente in mano ai nazisti e che la madrepatria sia sotto attacco da parte di un Occidente malvagio guidato dagli Usa.