Il discorso di Liliana Segre, una lezione di democrazia

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Liliana Segre
Liliana Segre

L’intervento della senatrice a vita in apertura della XIX legislatura, tra ricordi personali e auspici per il futuro, sempre fermamente nell’alveo dei valori costituzionali e democratici.

“In questo mese di ottobre nel quale cade il centenario della Marcia su Roma, che dette inizio alla dittatura fascista, tocca proprio a una come me assumere momentaneamente la presidenza di questo tempio della democrazia che è il Senato della Repubblica”, ha dichiarato Liliana Segre nel suo discorso che ha aperto la prima seduta del Senato uscito dalle urne del 25 settembre. Un fatto che è stato definito in molti modi, una coincidenza, uno scherzo del fato, un cerchio che si chiude: l’aver vissuto da bambina l’orrore della Shoah e poi trovarsi quasi ottant’anni dopo a presiedere l’assemblea di Palazzo Madama in procinto di eleggere il suo nuovo presidente, scegliendolo tra le fila del primo partito di estrema destra a vincere le elezioni politiche in Italia e destinato a guidare il Paese.

E non solo, il candidato di Fratelli d’Italia è un uomo che non ha mai nascosto la propria nostalgia per il fascismo, Ignazio La Russa (nome completo Ignazio Benito Maria La Russa), al punto da mostrare con orgoglio alle telecamere de Il Corriere della Sera i busti, le foto e altri memorabilia del Duce e del Ventennio che arredano la sua casa milanese. Del resto, suo padre Antonino fu il segretario del Partito nazionale fascista a Paternò, e dopo la guerra venne eletto senatore tra le fila del Movimento Sociale Italiano (MSI), partito che raccolse chi nel fascismo continuava a credere.

La fiamma tricolore storicamente usata dall’MSI è presente ancora oggi nel simbolo di Fratelli d’Italia, partito fondato nel 2012 dallo stesso La Russa insieme a Giorgia Meloni e Guido Crosetto (fino al 2017 nel simbolo compariva anche la sigla “MSI”, poi tolta). Alle obiezioni di coltivare nostalgie del fascismo, La Russa ha dichiarato che “i conti con il passato li facemmo già a Fiuggi” (la svolta promossa dall’allora segretario dell’MSI Gianfranco Fini che trasformò il partito in Alleanza Nazionale per segnare una discontinuità e qualificarsi come forza politica legittimata a governare), e che in Fratelli d’Italia “non c’è spazio per i nostalgici”.

Tuttavia, mantenere nel simbolo di FdI la fiamma tricolore dell’MSI, fondato da reduci della Repubblica Sociale Italiana come Giorgio Almirante e Pino Romualdi “in opposizione al sistema democratico per mantenere viva l’idea del fascismo” (Piero Ignazi, Il polo escluso: profilo storico del Movimento sociale italiano, Bologna, Il Mulino), indicherebbe un legame mai reciso: sono quelle, le radici di FdI.

Riprendendo il discorso di Segre, la senatrice ha continuato: “Il valore simbolico di questa circostanza casuale si amplifica nella mia mente perché, vedete, ai miei tempi la scuola iniziava in ottobre, ed è impossibile per me non provare una sorta di vertigine ricordando che quella stessa bambina che in un giorno come questo del 1938, sconsolata e smarrita, fu costretta dalle leggi razziste a lasciare vuoto il suo banco delle scuole elementari, oggi si trova per uno strano destino addirittura sul banco più prestigioso del Senato”.

Le tragiche vicissitudini della sua infanzia sono state raccontate da Segre in numerosi interventi pubblici e recentemente nel libro “Liliana Segre. Il mare nero dell’indifferenza”, che costituisce una testimonianza preziosa e un messaggio politico e morale di forte impatto e indiscutibile valore. Prima espulsa, poi clandestina, poi richiedente asilo in Svizzera e quindi respinta, infine arrestata e deportata nel campo di sterminio di Auschwitz, Segre ha ricordato al Senato come “In Italia il principale ancoraggio attorno al quale deve manifestarsi l’unità del nostro popolo è la Costituzione Repubblicana, che come disse Pietro Calamandrei non è un pezzo di carta, ma il testamento di 100.000 morti caduti nella lunga lotta per la libertà”.

Un passaggio importante è stato riservato all’articolo 3, “nel quale i padri e le madri costituenti non si accontentarono di bandire quelle discriminazioni basate su sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali che erano state l’essenza dell’ancien regime, ma che lasciarono anche un compito perpetuo alla Repubblica: rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Secondo Segre, “Non è poesia e non è utopia: è la stella polare che dovrebbe guidarci tutti, anche se abbiamo programmi diversi per seguirla: rimuovere quegli ostacoli”.

Come spesso ha fatto nei suoi interventi pubblici, Segre ha rivolto una particolare attenzione all’uso delle parole, auspicando “l’assunzione di una comune responsabilità […] contro la diffusione del linguaggio dell’odio, contro l’imbarbarimento del dibattito pubblico, contro la violenza dei pregiudizi e delle discriminazioni”. Non è un puntiglio, quanto un ammonimento: utilizzare parole piegate all’odio e alla violenza, parole che ritornano perché non se ne sono mai veramente andate, costituisce un rischio che corriamo ogni giorno. Scritte o pronunciate, esse potrebbero aprire la porta all’odio e farlo diventare, attraverso il megafono della propaganda, il filtro attraverso cui discriminare ed emarginare. In un’intervista del 2018 a L’Espresso, Segre ha dichiarato che “La democrazia si perde pian piano, nell’indifferenza generale, perché fa comodo non schierarsi, e c’è chi grida più forte e tutti dicono: ci pensa lui”.

Tornando al suo discorso in Senato, la senatrice ha chiuso con due auspici, uno più formale e istituzionale, focalizzato sulla necessità di “riaffermare nei fatti e non a parole la centralità del Parlamento”, e uno più concreto e sostanziale, relativo alla difficile situazione economica presente. Segre ha parlato del “grido di dolore che giunge da tante famiglie e da tante imprese che si dibattono sotto i colpi dell’inflazione e dell’eccezionale impennata dei costi dell’energia, che vedono un futuro nero, che temono che diseguaglianze e ingiustizie si dilatino ulteriormente anziché ridursi”. E ancora: “Non c’è un momento da perdere: dalle istituzioni democratiche deve venire il segnale chiaro che nessuno verrà lasciato solo, prima che la paura e la rabbia possano raggiungere i livelli di guardia e tracimare”.

Resta da vedere se e come questo appello potrà essere accolto dal futuro governo. La rocambolesca elezione di La Russa, avvenuta grazie al soccorso dei voti dell’opposizione considerata l’astensione di Forza Italia (è già diventata iconica la reazione stizzita con tanto di ‘vaffa’ da parte di Silvio Berlusconi), non è un buon presagio. Le dichiarazioni di unità e di compattezza della coalizione di centrodestra si sono di fatto sgretolate alla prima prova, mostrando per l’ennesima volta la forte litigiosità alla base dei rapporti tra FdI, Lega e Forza Italia. Appare sempre più evidente come ogni elezione e ogni nomina costituiscano uno snodo delicato, basato su fragili e non sempre esistenti equilibri. Se alla Camera gli accordi sono stati rispettati ed è stato eletto come nuovo presidente il leghista Lorenzo Fontana (ultraconservatore con posizioni radicali sull’aborto, sui diritti LGBTQIA+ e dei richiedenti asilo, ammiratore di Viktor Orbán e di Vladimir Putin), bisogna vedere cosa accadrà con la formazione dell’esecutivo, con un Berlusconi bellicoso che ha dichiarato: “Votiamo Fontana per non sprecare altro tempo, ma da noi devono passare. Giorgia Meloni non può mica pensare di andare avanti con i voti dell’opposizione”.