Mobilitazione

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Vladimir Putin
Vladimir Putin

In vista dei referendum che si terranno nei prossimi giorni nel Donbass, Putin ha dichiarato la mobilitazione parziale: 300mila riservisti russi presto in partenza per il fronte.

Nel suo discorso al paese, che doveva tenersi ieri sera, 20 settembre, ma che è stato rimandato di alcune ore senza spiegazioni, Vladimir Putin ha annunciato di aver appena firmato il decreto che dispone la mobilitazione dei riservisti: circa 300mila uomini, con precedenti esperienze di combattimento e in possesso di varie specializzazioni militari, saranno oggetto di coscrizione per essere inviati al fronte. Il totale delle forze che Mosca può mobilitare, ha sottolineato il ministro della Difesa Sergei Shoigu commentando la decisione, ammonta a circa 25 milioni di uomini. “Si può comprendere che questa è una mobilitazione parziale, l’1% o poco più della risorsa totale di mobilitazione”, ha affermato, aggiungendo: “Non combattiamo solo con l’Ucraina e l’esercito ucraino, ma con la Nato e con tutto l’Occidente”.

Dopo il fallimento di quella che nei piani iniziali del Cremlino doveva essere una guerra-lampo, respinta dalla resistenza ucraina con il supporto delle armi inviate dagli Stati Uniti e molti altri paesi europei e non, e dopo il successo della controffensiva di Kiev delle settimane scorse che ha permesso la riconquista di migliaia di chilometri quadrati di territorio fino a toccare il confine russo, Vladimir Putin ha annunciato una decisione che secondo molti analisti era inevitabile per cercare di tamponare una situazione che, sul campo di battaglia ma anche nella gestione interna, si è fatta molto complicata.

Le sanzioni internazionali, contrariamente a quanto sostenuto da alcuni esponenti politici e opinionisti sia esteri che italiani, si sono rivelate efficaci nel mettere in ginocchio l’industria bellica russa (colpendo anche numerosi altri settori, ad esempio quello automobilistico: secondo alcune inchieste, le vetture in vendita nel paese sarebbero addirittura prive di componenti basilari per l’incolumità dei passeggeri come le cinture di sicurezza), al punto da costringere Mosca ad acquistare munizioni dalla Corea del Nord. In mancanza di equipaggiamento in grado di contrastare le armi moderne fornite all’Ucraina, restava una carta soltanto: quella di inviare al fronte più uomini possibile (alcuni commentatori non esitano a parlare esplicitamente di “carne da cannone”). La Duma, il Parlamento russo, ha preparato il terreno nei giorni scorsi approvando inasprimenti delle pene per i disertori e i renitenti alla leva in caso di mobilitazione e di conflitto armato: elemento che ha reso l’annuncio ufficiale solo questione di tempo.

Nel suo discorso a reti unificate, Putin ha fatto riferimento anche alla minaccia nucleare. Secondo lo “Zar”, l’Occidente punterebbe a distruggere la Russia, mettendo in atto un vero proprio “ricatto nucleare” e superando “ogni limite nella sua aggressiva politica anti-russa”. Rivolgendosi ai concittadini, Putin ha aggiunto: “Abbiamo tantissime armi con cui rispondere e useremo tutti i mezzi a disposizione per proteggere il nostro popolo”. E ai paesi occidentali: “Non sto bluffando”.

L’obiettivo di Putin è quello di proteggere i referendum indipendentisti indetti dalle amministrazioni filorusse di Luhansk e Donetsk, nonché delle altre regioni del Donbass, Kherson e Zaporizhzhia (sede della più grande centrale nucleare in Ucraina). Si tratta di zone in questo momento completamente o quasi completamente sotto il controllo militare russo, ma bersaglio prossimo della controffensiva ucraina: il tentativo di Mosca sarebbe dunque quello di tenerle fino ai giorni in cui si terranno i referendum, dal 23 al 27 settembre.

Sull’argomento, le parole di Putin si fanno ancora più dure e minacciose. “La politica del terrore, dell’intimidazione, sta diventando sempre più barbarica, più estesa. La maggior parte delle persone che vivono nei territori liberati dai neonazisti, territori storici della Russia, non vogliono tornare sotto di loro. Non possiamo abbandonare le persone a noi vicine, non possiamo ignorare le loro legittime aspirazioni a decidere del proprio destino. Le autorità hanno deciso di indire un referendum e hanno chiesto il sostegno della Russia, noi faremo di tutto per garantire uno svolgimento tranquillo”. E ancora, rivolgendosi direttamente ai concittadini: “È nostra tradizione storica e destino del nostro popolo fermare coloro che cercano il dominio mondiale, che minacciano di smembrare e rendere schiava la madrepatria. È quello che stiamo facendo ora, e credo nel vostro sostegno”.

Questa dei referendum non è certamente una buona notizia. La Russia accetterebbe la richiesta delle amministrazioni indipendentiste di entrare a far parte della Federazione (il risultato delle consultazioni è del tutto scontato) e annetterebbe quei territori, considerandoli propri. Da parte sua, l’Ucraina difficilmente potrebbe tollerare la perdita di una porzione così rilevante del paese sia dal punto di vista dell’estensione che dal punto di vista economico (il Donbass è ricco di risorse e sede di importanti industrie). La guerra potrebbe durare anni, se non decenni, con tutte le conseguenze del caso, dalla perdita di vite umane alla distruzione di città e infrastrutture, dalla questione dei profughi all’instabilità dei mercati e i relativi rischi di aumento dei prezzi e inflazione.