Siamo a Sutri, dove abita Maurizio Urbani, sassofonista tenore tra i più espressivi ed eclettici della scena romana. Fratello minore del celeberrimo Massimo Urbani, scomparso nel ‘93, ne ha assorbito la grande sensibilità, riuscendo a fondere in uno stile inconfondibile le migliori cifre stilistiche dei grandi precursori del jazz d’avanguardia come Parker, Coltrane e Coleman.
Nella sua cospicua serie di collaborazioni si alternano nomi internazionali come Chet Baker, David Liebman, Sal Nistico, Enrico Rava, Luca Flores e tanti altri.
Tu Maurizio, appartieni alla generazione immediatamente successiva a quella dei musicisti jazz che si formarono negli anni ‘70, tra cui tuo fratello Massimo. Cosa ricordi di quegli anni e cosa ti colpì di quel mondo? Quali furono gli inizi?
Mio nonno era un appassionato di bande. D’estate i miei nonni ci portavano a Camerata Nuova, un paesino sulla Roma – L’Aquila, dove ha origine la mia famiglia. Mio fratello Massimo si era appassionato alla musica ascoltando la banda durante le processioni. A Roma abitavamo a Monte Mario, dove c’era una scuola di musica in cui insegnava un maresciallo della Guardia di Finanza in pensione. Ebbene, mio nonno gli chiese di farmi entrare in banda ad imparare i primi rudimenti. Siamo negli anni ‘70 e Massimo dimostrava le sue doti inserendosi nell’ambiente romano di quegli anni, dove conobbe Giorgio Gaslini, Mario Schiano, Tommaso Vittorini, Maurizio Giammarco, Michele Iannaccone, Bruno Tommaso, Roberto Gatto, Martin Joseph, Danilo Rea, Enzo Pietropaoli, Eddy Palermo…
Io intanto partecipavo a dei laboratori della scuola di Testaccio e iniziavo a frequentare il Music Inn: avevo 15-16 anni e mi esercitavo un po’ con il sax di mio fratello. In quel favoloso locale, la sera sembrava di stare a New York: dagli USA venivano in Italia i migliori strumentisti e facevano tappa a Milano, Roma e Palermo: al Music Inn suonavano Bill Evans, Dexter Gordon, Jonny Griffin, Roy Haynes.
Raccontaci qualche storia del Music Inn.
Da ragazzo andavo a prendere il ghiaccio per il bar del Music Inn di Pepito Pignatelli, aprivo il locale alle 6 del pomeriggio (Pepito mi dava le chiavi la notte precedente).
I musicisti li andavamo a prendere all’aeroporto per accompagnarli, di notte, all’Hotel Cardinal in via Giulia. Lui mi dava qualcosa e poi mi portava a mangiare coi musicisti in via Paola.
Al Music Inn, in quegli anni, ogni mese c’erano due o tre americani
che suonavano per due o tre giorni.
Fai finta di dover spiegare a un bambino cos’è la musica jazz.
Beh (si ferma un attimo per pensarci): in modo semplice direi che è una forma espressiva moderna che ha qualcosa della musica antica dell’Africa. Lo Spiritual, e poi il Gospel, erano canti che gli schiavi afro-americani cantavano nelle chiese e questo fu l’inizio di tutto.
Il jazz è la naturale evoluzione di quel fenomeno ed è tuttora in continua trasformazione.
Regole e improvvisazione: come si combinano?
Il jazz, a differenza della musica classica, lascia spazio all’improvvisazione, ma ha pur sempre le sue regole ed è proprio a partire da queste che si può improvvisare. Lo spirito umano dell’improvvisazione può così esprimersi entro certe misure ritmiche e armoniche, più o meno rigide o elastiche. L’improvvisazione fa parte della vita: tu esci di casa la mattina con un certo programma, ma poi non sai cosa ti succede…e allora devi improvvisare.
Quindi parliamo di diverse forme che il jazz è andato via via
assumendo.
Certo. Nel Free Jazz l’improvvisazione si può dire che sia totale, mentre nel Dixieland, nel Ragtime, nel Bebop e nell’Hard bop, bisogna seguire delle strutture ritmiche e armoniche stabilite sulle quali improvvisare.
Poi è arrivato il modale…
Nel modale si sono aperti spazi di maggiore libertà: John Coltrane, George Russell, Miles Davis, sono riusciti a costruire pezzi di pochi accordi, su scale dette modali, e a dare inizio ad una nuova generazione di musicisti straordinari. Il modale consentì di dare molto più spazio all’improvvisazione rispetto al tonale. Fu una innovazione formidabile, come quella di Charlie Parker con il Bebop. Sentimento e innovazione tecnica devono andare insieme.
Tre musicisti che ti hanno cambiato la vita.
John Coltrane, Miles Davis…e mio fratello; poi naturalmente ce ne sono tanti altri: Charlie Parker, Sonny Rollins, Dexter Gordon, Walter Gray, Wayne Shorter…
Il sax è uno strumento melodico, cioè può suonare una nota alla volta, quindi ha bisogno di interagire con altri strumenti armonici. Tuttavia, è possibile eseguire uno standard “solo sax”?
Sì, come no. Si suona il tema e poi si improvvisa sulle scale degli accordi, oppure liberamente, come nel free. Succede spesso all’inizio o alla fine di un brano, per esempio. Questo crea un’atmosfera speciale, sensuale, direi quasi spirituale.
Contaminazioni e musica popolare: in Italia la musica napoletana si presta bene a fondersi col jazz.
Sì, certo, Napoli è sempre stata un laboratorio ideale per la fusione di musiche diverse. Basta pensare a Pino Daniele, Napoli Centrale ecc. Mario Schiano, uno dei padri del Free jazz italiano, che fu un maestro per me e Massimo, veniva da Napoli.
La musica jazz è un bell’esempio di fusione tra culture diverse: può avere un’influenza sulla politica, sulla società e addirittura favorire processi di pace?
Certamente sì, la musica ha una funzione sociale: sin dagli anni ‘60 favorì l’aggregazione di masse di giovani che si contrapponevano a un certo sistema di valori e volevano un mondo migliore.
Ricordo che mio fratello suonò al Parco Lambro, a metà degli anni ‘70, insieme con gli Area, il Banco del Mutuo Soccorso, Napoli Centrale, Don Cherry…
Ricordo anche un altro festival del proletariato giovanile a Villa Pamphili: Massimo suonò con gli Area. Ma io mi sentivo più vicino al jazz: il Rock lo conobbi attraverso Miles Davis.
Anche oggi dietro alla musica si muovono ideali di cambiamento e di contaminazione tra culture diverse.
Miles Davis fu una specie di ciclone…
Sì, fu promotore di una intera generazione di musicisti come Herbie Hancock, Chick Corea, John Mc Laughlin, Keith Jarrett, Ravi Shankar… Miles Davis e John Coltrane sono stati i più grandi innovatori della musica del ‘900.
Attraverso la loro musica torna a riaffermarsi il concetto che le tradizioni possono parlarsi.
Progetti in cantiere?
Suonare nei club a Roma, poi c’è, come ogni anno, il Premio Internazionale Massimo Urbani a Camerino, nel mese di Giugno, a cui partecipano musicisti di fama mondiale. Dopo l’estate e i concerti alla Casa del Jazz ci sarà un po’ di calma, ma le occasioni nei locali romani non mancano.
Siamo seduti al bar davanti al municipio di Sutri: suonano a vespro le campane della chiesa nell’aria mite di inizio settembre.
Ringraziamo Maurizio Urbani e ci salutiamo, dandoci appuntamento al prossimo concerto in qualche locale romano.