In contrasto con la maggioranza degli americani, la Corte Suprema ha cancellato un diritto che sembrava intoccabile, suscitando più di un interrogativo su cosa sia diventata la democrazia negli Stati Uniti.
Con la sentenza del 24 giugno, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha cancellato una sua precedente decisione, risalente al 1973, nella quale si limitava la possibilità per i singoli Stati di intervenire sul diritto all’interruzione di gravidanza: la sentenza Roe vs Wade, ormai diventata nota anche da noi dopo la clamorosa (ma non inaspettata) scelta della Corte. Da adesso dunque il diritto all’aborto non è più garantito a livello federale e ciascuno Stato potrà legiferare come meglio crede: sembra che ben 30 Stati abbiano già pronte delle leggi più o meno restrittive sul tema.
La sentenza della Corte, che dunque ritiene che il diritto all’interruzione di gravidanza non sia protetto dalla Costituzione, è tuttavia in contrasto con la maggioranza dell’opinione pubblica: in un recente sondaggio, il 54% degli intervistati ha dichiarato che la Roe vs Wade dovesse essere mantenuta, mentre un’altra rilevazione ha evidenziato come ben l’80% degli americani sia convinto che alcune forme del diritto all’aborto debbano essere riconosciute. Il punto rilevante è che queste opinioni sono trasversali rispetto all’appartenenza politica e riguardano sia elettori democratici che repubblicani.
Com’è possibile quindi che la Corte abbia preso questa decisione in netto contrasto con la volontà della maggioranza? Il problema sembra essere, ancora una volta, il sistema legislativo e giudiziario statunitense, nato oltre due secoli fa, che molti analisti ritengono obsoleto e sotto alcuni aspetti pericoloso per la democrazia. La Corte Suprema sarebbe un esempio lampante: i giudici sono soltanto nove e hanno un potere immenso, dato che non solo hanno giurisdizione su tutti i casi discussi nei tribunali federali ma hanno anche la facoltà di invalidare qualsiasi legge ordinaria che, a loro avviso, violi una disposizione della Costituzione. Inoltre, il mandato è a vita: solo in caso di morte, dimissioni o particolari casi di rimozione dall’incarico si procede con una nuova nomina, che viene effettuata dal Presidente col consenso del Senato.
Attualmente la Corte è formata da tre giudici democratici (uno nominato da Bill Clinton e due da Barack Obama) e sei giudici conservatori, tre nominati da George W. Bush e tre da Donald Trump. In particolare, questi ultimi hanno tra i 50 e i 57 anni (e potrebbero quindi restare al loro posto per decenni) e non hanno mai nascosto le proprie opinioni estremamente conservatrici su temi quali i diritti civili, il lavoro, l’ambiente e il finanziamento alla politica. Con le sue nomine, Trump ha spostato l’asse della Corte fortemente a destra e oggi la maggioranza, 5 giudici su 9, è formata da giudici profondamente ideologizzati.
Questo manipolo al momento molto compatto non ha dimostrato alcun problema a prendere la decisione sull’aborto pur in netto contrasto, come detto, con la volontà della maggioranza popolare. In passato, ad esempio sul matrimonio tra persone dello stesso sesso, ciò che portò la Corte a prendere una decisione in senso positivo fu proprio la spinta favorevole dell’opinione pubblica. Ma l’opinione della maggioranza non sembra più così importante. Se prima l’obiettivo era principalmente quello di conquistare il consenso popolare, oggi conta padroneggiare meglio degli avversari le regole del gioco per sfruttare a proprio favore ogni cavillo (ad esempio, nel 2016 fu impedito a Barack Obama la nomina di un giudice con la motivazione che era a pochi mesi dalla fine del suo mandato) e imporre le proprie idee indipendentemente dalla volontà della maggioranza. Il corto circuito è ancor più evidente se pensiamo che di questa “maggioranza che non conta” fanno parte anche molti repubblicani.
Oltre al funzionamento della Corte Suprema, altri aspetti del sistema istituzionale Usa di capitale importanza che espongono il fianco a possibili manipolazioni troviamo la procedura con la quale viene eletto il Presidente (basata sul voto dei grandi elettori dei singoli Stati e non sul conteggio complessivo dei voti popolari: dal 1988 a oggi, soltanto in un’occasione i repubblicani hanno ottenuto più consensi dal punto di vista numerico dei democratici, eppure sono riusciti a eleggere quattro Presidenti), la modalità di composizione del Senato, formato da due membri per Stato (in questo modo la California, 55 milioni di abitanti, esprime lo stesso numero di senatori del Wisconsin, 600mila abitanti) e la normativa sulle armi da fuoco, che torna ciclicamente al centro dell’attenzione in occasione dei purtroppo frequenti massacri, come quella di Uvalde in Texas.
Rispetto a questo ultimo punto, la Corte Suprema ha cancellato una legge dello Stato di New York risalente a oltre un secolo fa che limitava la possibilità di portare un’arma fuori casa, prevedendo una licenza con giustificato motivo. Secondo la Corte, è la Costituzione stessa ad assicurare il diritto di portare un’arma per la propria difesa personale e dunque non è necessaria alcuna licenza. Anche in questo caso i giudici sono andati contro la volontà popolare: 8 newyorkesi su 10 si erano dichiarati favorevoli al mantenimento di questa legge.
Un’altra sentenza che ha suscitato un acceso dibattito riguarda la possibilità, finora negata, per le scuole religiose di ricevere finanziamenti pubblici, e si attendono altre decisioni riguardanti la cancellazione di norme ambientali e la limitazione della possibilità da parte del governo di regolare l’azione delle imprese. Com’è evidente, un numero estremamente ridotto di persone ha nelle proprie mani il potere di influenzare profondamente la politica e l’economia della più antica democrazia della nostra epoca.
Il partito democratico, da parte sua, punta sullo sdegno e sulle proteste nate spontaneamente in molte aree del paese per ottenere un buon risultato alle elezioni mid-term di novembre, che vedono il partito e il Presidente Biden in difficoltà soprattutto a causa dei temi economici e in primo luogo per l’inflazione. Senza dimenticare però che la sentenza sull’aborto è probabilmente destinata a provocare un’ampia mobilitazione anche dell’ultradestra trumpiana e degli ambienti religiosi più radicali, i quali, dopo decenni di battaglia, hanno raggiunto una delle vittorie per loro più agognate.