Siccità e spreco d’acqua: a rischio la produzione agricola

121
Po in secca
Po in secca

Le scarsissime precipitazioni di questi mesi mettono in crisi l’agricoltura e avvicinano lo spettro del razionamento idrico.

Non si assisteva a una secca del Po così grave da oltre 70 anni. Misurato nei pressi di Pavia, il livello idrometrico ha segnato -3,7 metri. Soffrono anche i grandi laghi: -22% per il Maggiore e -25% per quello di Como. Il lago di Trasimeno e quello di Bracciano (di oltre 1 metro al di sotto dello zero idrometrico) sono in condizioni simili. In alcune zone non piove da tre mesi. Il caldo intenso di queste settimane e le previsioni che continuano a dare la pioggia lontana dal paese hanno spinto la Coldiretti a richiedere l’intervento immediato del governo.

Di fronte a questo stato prolungato di siccità, il ministro delle Politiche agricole Stefano Patuanelli ha definito “inevitabile” la dichiarazione dello stato di crisi. In settimana è prevista una riunione del governo per analizzare la situazione e prendere le dovute misure per fronteggiare l’emergenza. Secondo le prime stime, i danni ammonterebbero a 2 miliardi di euro e sarebbero in rapida crescita. Particolarmente grave sarebbe la situazione del riso e del grano; quest’ultimo segna già un calo del 15%. La guerra in Ucraina e la scarsità di questo cereale sul mercato rende ancora più preoccupante l’abbassamento della produzione.

Per il riso le cose stanno, se possibile, anche peggio. L’assessore all’Ambiente del Piemonte ha lanciato un vero e proprio ultimatum: per salvare i raccolti restano solo 15 giorni. Territori come il vercellese, nei quali è coltivata un terzo della superficie totale italiana dedicata al riso, non resisteranno oltre la prima settimana di luglio. Le piogge inesistenti e l’apporto del tutto insufficiente dei bacini montani e dei fiumi hanno prodotto una fortissima diminuzione della quantità di acqua a disposizione per le risaie, con picchi del -85/-90%.

La crisi si estende anche alla Lombardia, all’Emilia-Romagna e al Veneto. Il sindaco di Milano Beppe Sala sta prendendo in considerazione l’ipotesi di utilizzare l’acqua del Naviglio per tentare di salvare il sistema agricolo che si sviluppa intorno alla città, mentre il governatore dell’Emilia-Romagna Bonaccini ha istituito una cabina di regia che collaborerà con la Protezione civile, in attesa della dichiarazione di stato di emergenza da parte del governo, dichiarazione che secondo gli auspici dovrebbe arrivare in tempi strettissimi.

La siccità, resa evidente dall’emergenza di questi mesi, è in realtà un problema segnalato nel nostro paese già da anni. In un rapporto del 2010, Legambiente denunciava la triplicazione delle aree colpite da inaridimento e prospettava il rischio che ben il 25% del territorio nazionale potesse andare incontro a desertificazione. E se negli anni scorsi la crisi ha riguardato soprattutto le regioni del Sud, Puglia, Sicilia e Sardegna in testa, oggi vediamo che anche la Pianura Padana è in fortissima sofferenza.

Di fronte a questo scenario fosco, l’Italia non ha tuttavia adottato particolari contromisure. Da una parte è rimasta ai primi posti per consumo pro capite di acqua (236 litri al giorno per abitante nei comuni capoluogo e città metropolitane, contro una media europea di circa 125 litri), mentre dall’altra non ha fatto molto per migliorare le condizioni della rete idrica (abbiamo realizzato investimenti pro capite pari a 49 euro, la metà della media europea che si attesta a 100 euro per abitante). Non solo usiamo tanta acqua e investiamo poco, ma ne sprechiamo quantità immense. Legambiente ha stimato che tra l’acqua immessa nelle reti e quella effettivamente erogata vi sarebbe un gap medio del 26% nei capoluoghi del nord, del 34% in quelli del centro e del 46% in quelli del sud. Una trentina di città sarebbe al di sopra del 50% di perdite e qualche comune oltrepasserebbe addirittura la soglia del 75%. Sul fronte della depurazione, gli impianti che servono metà della popolazione sarebbero fuori norma e non conformi alle direttive europee: questo ci costa in termini di salute e di risorse, e in più si aggiungono quattro procedure di infrazione per la mancata o inadeguata attuazione della direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane.

Il Piano nazionale di ripresa e di resilienza riserva circa 900 milioni di euro alla sistemazione della rete idrica del paese, ma queste risorse sono destinate a finanziare progetti che non avranno inizio prima del 2026. Intanto, il 17 giugno è stata la Giornata mondiale per la lotta alla desertificazione e alla siccità, promossa dalle Nazioni Unite.

Ibrahim Thiaw, Segretario esecutivo della UNCCD (United Nations Convention to Combat Desertification) ha dichiarato che “la siccità è uno dei disastri naturali più distruttivi in termini di perdita di vite; si presenta in fenomeni come la perdita di raccolti, incendi boschivi e stress idrico. Esacerbata dal degrado del suolo e dai cambiamenti climatici, la siccità sta crescendo in frequenza e severità, con un aumento del 29% dal 2000 e 55 milioni di persone interessate ogni anno. Secondo le stime, entro il 2050 la siccità potrebbe colpire tre quarti della popolazione mondiale. È un problema globale e urgente.”

Se per intervenire sul cambiamento climatico a livello mondiale occorre l’azione congiunta di molte nazioni, ciascun paese può tuttavia, attraverso investimenti mirati e una gestione oculata, cercare di mitigarne le conseguenze entro i propri confini. L’Italia, con i suoi sprechi e il ritardo nell’implementazione dei progetti, dovrebbe quindi cambiare radicalmente strada, perché emergenze come quella attuale potrebbero toccarci sempre più spesso e sempre più da vicino.