Nei territori oscuri. Ercole e Lica di Antonio Canova

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Ercole e Lica
Ercole e Lica

Don Onorato Gaetani dell’Aquila d’Aragona, patrizio napoletano, aveva riflettuto a lungo davanti al gruppo di Venere e Adone, approdato nel palazzo di Domenico Berio in via Toledo. Antonio Canova aveva sospeso i due amanti, oggi a Ginevra, in un rapimento dolce e tragico: sciolta la carezza con cui Venere trattiene Adone, il giovane muore – racconta Ovidio – durante una battuta di caccia.

La fama di Canova era cresciuta fino a quel punto nell’intreccio tra una forma che echeggiava il classico e le mille declinazioni del sentimento. Perciò, quando don Onorato Gaetani propose allo scultore un tema che scartava ogni tenerezza, e che proiettava la tragedia sull’orizzonte inquietante della follia, l’artista comprese che la commissione lo avrebbe portato a un confronto con il cuore stesso della propria ispirazione.

Da quella sfida, meditata lungo dieci anni di lavoro, nacque il gruppo di Ercole e Lica, passato per la collezione Torlonia e oggi alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma. Ucciso per gelosia il centauro Nesso, che aveva tentato di rapirgli Deianira, Ercole impazzisce quando indossa la veste recatagli da Lica, intrisa del sangue del centauro. In uno spasmo di folle dolore, il giovane viene scagliato in mare e ucciso. Una volta realizzata la propria colpa, Ercole si dà la morte, seguito di lì a poco da Deianira.

Ercole e Lica è pensato come doppio e opposto di Adone e Venere, di cui ribalta punto per punto forma e ispirazione. Le figure si trovano, tutte e quattro, inconsapevolmente, al crocevia tra fine ed eternità. Il significato di Adone e Venere si completa però solo quando l’osservatore scopre, dietro al gruppo, il cane di Adone, riferimento alla caccia fatale e simbolo di fedeltà.

Al contrario, Ercole e Lica s’impone come immagine sintetica, anzi come combinazione di segni svolti su un piano: i due corpi si incurvano in direzioni opposte, tracciando un ideogramma del male. La manifestazione della violenza si definisce come estranea a ogni racconto, come frammento espulso dal tempo. La pulsione che dà forma al gesto di Ercole chiede all’osservatore di rendersi immobile (verrebbe da dire pietrificato), per lasciarsi cogliere con uno sguardo nella propria sconcertante completezza.

Sotto l’omaggio, nella fisionomia massiccia dell’eroe, al celebre Ercole Farnese (oggi al Museo Archeologico di Napoli), la scultura di Canova dischiude sensibilità che arricchiscono e dilatano in direzioni impreviste il riferimento alla classicità. Non più palestra di armonia, l’antico e il mito diventano territori inesplorati, oscuri, popolati da archetipi profondi e da passioni primordiali.
Battendo le strade dell’invenzione e dell’arte la scoperta dell’inconscio, l’intuizione della sua
tremenda vastità, erano ormai a un passo.