Molti analisti ritengono che non si arriverà a un conflitto armato su larga scala, ma le conseguenze economiche sono già pesanti. In particolare per l’Italia, che dipende dalla Russia e dall’Ucraina sia per il gas che per il grano e il mais.
“Per evitare un conflitto con la Russia, l’Ucraina potrebbe rinunciare all’ingresso nella Nato”, è quanto ha dichiarato alla Bbc l’ambasciatore di Kiev nel Regno Unito, Vadym Prystaiko, un’affermazione ridimensionata a distanza di pochissimo. “Un fraintendimento”, ha corretto la rotta il diplomatico. E ha aggiunto: “Dobbiamo semplicemente trovare una soluzione entro domani”, ossia entro il giorno in cui, secondo gli Usa, Mosca darà il via all’invasione.
In una crisi che viene da lontano con cause sia geopolitiche (la volontà della Russia di limitare la presenza della Nato ai propri confini occidentali contrapposta all’avvicinamento di alcuni paesi ex Unione Sovietica alla Nato stessa e all’Europa) sia economico-commerciali (pensiamo al Nord Stream 2, il gasdotto che collega direttamente la Russia e la Germania), l’effetto per molti paesi europei è immediato: una nuova impennata dei prezzi delle materie energetiche, nonché del grano e del mais (saliti rispettivamente del 4,5% e del 5% in una settimana). Per l’Italia la situazione è particolarmente grave: il 64% del grano che utilizziamo per le nostre produzioni è di importazione, in gran parte proveniente proprio dall’Ucraina e dalla Russia.
Coldiretti denuncia che nell’ultimo decennio l’Italia ha perso un campo di grano su cinque per un totale di quasi mezzo milione di ettari, in particolare a causa della politica di molte aziende che hanno preferito reperire il grano sul mercato internazionale anziché investire sulla creazione di una filiera nazionale. Essere deficitari nella produzione di una determinata merce lascia ovviamente esposti alla volatilità dei listini, proprio come sta accadendo in questo momento con la crisi in Ucraina.
Il caro energia ha provocato il raddoppio dei costi delle semine ancora attive nel paese, nonché alla triplicazione dei prezzi dei fertilizzanti, dei fitosanitari e dei mezzi agricoli. Il presidente della Coldiretti Ettore Prandini ha evocato garanzie per la sostenibilità finanziaria delle aziende in un momento in cui i costi della produzione rischiano concretamente di salire oltre i prezzi riconosciuti agli agricoltori e agli allevatori. Un settore nuovamente in crisi è quello dei latte sardo. Gianuario Falchi, portavoce dei pastori indipendenti, ha dichiarato che “l’effetto calmierante del prezzo del latte è stato cancellato dagli aumenti che riguardano mangimi e concimi, gasolio ed energia elettrica.” Il PNRR mette a disposizione circa 6 miliardi di euro per affrontare la transizione ecologica e digitale con l’obiettivo auspicato da Coldiretti di rafforzare la produzione interna e quindi ridurre la dipendenza dalle forniture estere.
Per quanto riguarda l’azione del governo sulle materie energetiche, il giudizio di Europa Verde-Verdi Europei per bocca dei portavoce Angelo Bonelli ed Eleonora Evi è severissimo. È stato appena approvato il PiTESAI (Piano della transizione energetica sostenibile delle aree idonee) da parte del Ministero per la Transizione Ecologica (definito ‘Ministero per la Finzione Ecologica’) che dopo due anni di moratoria dà il via libera alle trivellazioni. Molte critiche vengono rivolte in particolare al ministro Cingolani, che soltanto pochi mesi fa ha firmato il Boga, l’accordo per fermare le estrazioni di idrocarburi, nell’ambito della Conferenza sul clima di Glasgow.
Il piano di Cingolani prevede il raddoppio della produzione nazionale del gas da 3,5 miliardi di metri cubi annui a 7, su un totale di 70 miliardi di metri cubi annui di fabbisogno. Secondo il Think tank Ecco, questo piano non avrà in realtà alcun effetto sulle bollette perché il prezzo è stabilito dal mercato e non ci sarebbe alcuno scostamento rispetto alle (altissime) quotazioni attuali. Secondo i dati di Ember, un gruppo di ricerca indipendente impegnato nell’accelerazione della transizione dall’uso delle fonti fossili a quelle rinnovabili, tra il 2020 e il 2021 i prezzi del gas sono quadruplicati, causando il pesante aggravio delle bollette.
Per i paesi come il nostro, largamente dipendenti dall’estero, la raccomandazione di Ember è chiara: «Le energie rinnovabili sono la chiave per abbassare i prezzi dell’elettricità. L’unico modo per proteggere i consumatori dalla volatilità del gas fossile è accelerare la transizione verso l’elettricità pulita. L’eolico e il solare non sono esposti a prezzi variabili del carburante e negli ultimi anni i costi di generazione di elettricità da queste fonti sono crollati». Già nel 2019, ricorda Bonelli, i costi del fotovoltaico erano bassissimi – un’asta in Portogallo ha assegnato un prezzo record di 14,76 €/Mwh, mentre il gas si attesta sugli 80 €/Mwh e il nucleare raggiunge i 120 €/Mwh.
E così, mentre paesi come la Germania stanno imprimendo una decisa svolta green alla propria economia (ad esempio i tedeschi stanno per approvare un piano da 200 GW di impianti solari sulle aree agricole per aumentare la produzione elettrica del settore e dipendere sempre meno dal combustibile fossile e dalle forniture russe), l’Italia sembra andare nella direzione opposta. Ha dichiarato Alessandro Giannì, direttore scientifico delle Campagne di Greenpeace Italia: “Se l’obiettivo è davvero decarbonizzare l’economia entro il 2050, per farlo devi partire da un punto A e muoverti verso un punto B, che non prevede l’estrazione e il consumo di gas metano. Oggi, l’Italia parte dal punto A per tornare al punto A.”