Oggi il giuramento di Sergio Mattarella, riconfermato presidente della Repubblica Italiana in nome della stabilità e della continuità di governo.
“La situazione è grave, io credo che tu debba essere riconfermato. È necessario per il bene e la stabilità del paese.” Questo sarebbe stato l’appello che Draghi, secondo una nota dell’Adnkronos, avrebbe rivolto a Mattarella in occasione del giuramento del nuovo giudice della Corte Costituzionale Patroni Griffi. Mattarella, che aveva già preso in affitto una casa e si preparava al nuovo ruolo di senatore a vita, non ha potuto fare altro che accettare, ed evitare al paese una situazione di incertezza in un momento delicato per molti motivi, tra cui la pandemia, la crisi Russia/Ucraina con la minaccia di guerra alle porte d’Europa, l’implementazione delle riforme del PNRR.
Nel bis di Mattarella, il Parlamento ci ha creduto fin dall’inizio. Infatti, i 16 voti di lunedì sono cresciuti di votazione in votazione fino ai 336 di venerdì sera, per arrivare alla valanga dei 759 della seconda tornata di sabato. La terza in percentuale (75%) dopo quella di Gronchi (78%) e di Pertini (82%).
A cose fatte, molti analisti dicono che non sarebbe potuta andare diversamente. La coalizione di centrodestra, con i suoi 408 grandi elettori (210 Lega, 135 Forza Italia, 63 Fratelli d’Italia), era chiamata a guidare la partita, risultando invece travolta da una combinazione di mosse al limite dell’assurdo e da conflitti interni mai risolti. Da una parte Berlusconi ha bloccato a lungo le trattative con la sua avventata ‘operazione scoiattolo’ che non ha mai trovato l’appoggio veramente convinto dei suoi (presunti) alleati; dall’altra la rivalità tra Salvini e Meloni nella corsa alla leadership del centrodestra ha posto fine a qualsiasi illusione di compattezza della coalizione.
Salvini in particolare sembra ormai prigioniero di una perpetua “sindrome del Papeete” che lo porta a prendere una strada sbagliata dopo l’altra, dalla proposta di una rosa di nomi che sembrava fatta apposta per essere rifiutata, alla candidatura malamente bruciata di Maria Elisabetta Alberti Casellati, alla repentina convergenza con Conte su Elisabetta Belloni la cui proposta, dato il suo incarico di direttrice generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (che coordina e vigila sui servizi segreti), doveva essere oggetto di una riflessione più attenta.
Tra gli obiettivi dei leader e dei parlamentari c’era quello di conservare lo status quo, ossia mantenere in vita il governo Draghi e allontanare quindi la minaccia di elezioni anticipate. Sotto questo punto di vista, la rielezione di Mattarella era l’opzione più sicura. Nemmeno Draghi andava bene, nonostante gli accenni sulla propria disponibilità a salire al Colle lanciati nella conferenza stampa prima di Natale (“Sono un nonno al servizio delle istituzioni”, il riferimento all’opera del governo che sarebbe potuta “continuare al di là di chi lo guida”). Eleggere Draghi avrebbe comportato la necessità di formare un nuovo esecutivo, e con le forze politiche così lontane su così tanti temi, il passo verso nuove elezioni sarebbe stato brevissimo.
Archiviata l’elezione che a tratti è stata davvero sconcertante (a proposito di mancanza di rispetto per le istituzioni, sembra che nella votazione che ha affossato Alberti Casellati qualcuno abbia scritto sulla scheda ‘suca chi legge’), il governo si è rimesso subito al lavoro. E si è subito diviso.
L’ultima spaccatura, che ha visto di nuovo come protagonista la Lega, si è avuta sulle nuove norme Covid per la scuola, in particolare su quella che non prevede più la DAD per gli studenti vaccinati (che resteranno a casa solo se si ammaleranno), mentre resta la quarantena (ridotta però a 5 giorni) per i non vaccinati. Salvini ha dichiarato di non poter accogliere alcuna discriminazione tra ragazzi vaccinati e non, ma questa appare una motivazione pretestuosa (la Lega ha accettato molte norme che prevedono una disparità di trattamento tra chi si è immunizzato e chi no), dettata più che altro dalla volontà di ‘mostrare i muscoli’ dopo la magra figura rimediata in occasione dell’elezione del presidente della Repubblica. Un simile strappo c’era stato anche dopo le ultime elezioni amministrative, nelle quali il centrodestra e la Lega in particolare avevano ottenuto risultati molto inferiori alle aspettative.
Al di là di questi episodi (che, per quanto dettati da esigenze mediatiche, contribuiscono comunque a destabilizzare l’immagine del governo), il vero tema è l’implementazione delle riforme imposte dal PNRR, riforme estremamente delicate che riguarderanno la Pubblica Amministrazione, l’evasione fiscale, servizi e appalti finora garantiti ad aziende pubbliche e che dovranno invece essere oggetto di gara, settori chiusi e protetti come quello dei taxi e delle concessioni balneari, la progressione di carriera tra i dipendenti pubblici che dovrà essere legata alle prestazioni, la limitazione alla mobilità degli insegnanti per salvaguardare la continuità dell’insegnamento, e tante altre.
Insomma, se fatte bene, le riforme toccheranno molti privilegi. L’auspicio è che il governo sappia portarle fino in fondo, e che le forze politiche che lo sostengono, e in particolare quelle più riottose, comprendano di dover mettere gli interessi del paese davanti ai propri.