L’emergenza sanitaria ha aggravato il crollo italiano, ma le radici della crisi affondano negli ultimi due decenni di progressivo indebolimento della nostra economia.
I dati sono impietosi. Dal 2001 a oggi, il reddito pro capite in Italia è crollato di circa il 18% rispetto alla media Ue, il nostro Pil vale il 14,5% dell’area euro (vent’anni fa valeva il 17,7%), e anche la produzione è andata a picco, segnando una riduzione del 18,4%. Tranne la Grecia, nessuno ha una performance peggiore. La Francia, da molti additata come il nuovo grande malato europeo, ha in realtà avuto una contrazione molto ridotta: è passata dal 20,9% del 2001 al 20,3% odierno, perdendo poco più di mezzo punto percentuale. La Spagna, invece, è addirittura cresciuta, guadagnando un 5,2%.
La pandemia ha avuto il suo peso nel cedimento italiano, ma relativamente solo ai dodici mesi appena trascorsi. La lenta, costante erosione della produttività e della capacità competitiva dell’Italia è in atto da vent’anni e ha reso il Belpaese fragile davanti alle crisi e lento nel risalire sul treno della ripresa. L’ultima volta che siamo stati in testa alla classifica della crescita è stato nel lontano biennio 1995-1996, quando la quota italiana nel prodotto dell’eurozona è aumentata dell’1,5%.
Sulle cause di questo disastro lungo due decenni sono stati versati fiumi d’inchiostro, e i responsabili ormai li conosciamo bene: una burocrazia intricata e farraginosa; un fisco troppo spesso “nemico” di chi vuole investire; un panorama imprenditoriale disomogeneo e vulnerabile alla concorrenza internazionale. Tutto ciò ha concorso a renderci progressivamente più poveri dei nostri vicini. Nel 2001 il nostro reddito era in linea con la media europea (e pari all’85,9% di quello tedesco), invece oggi è calato all’82,8% (e, nei confronti della Germania, al 67,6%). Inoltre, secondo gli ultimi dati, mentre in Europa il Pil per abitante è di circa 32.600 €., in Italia siamo fermi a poco più di 27.000 €.
Il Recovery fund dovrà servire ad aiutare tutte quelle realtà penalizzate dall’emergenza sanitaria, ma dovrà anche invertire la tendenza in atto da due decenni e trasformare la stagnazione in una solida crescita. Particolare attenzione merita il piano delle vaccinazioni, perché l’unica vera ripresa è legata a doppio filo con le tempistiche di somministrazione, e anche qualche settimana di ritardo rischia di compromettere ulteriormente la tenuta di determinati settori (ad esempio quello turistico nel periodo estivo). L’agenda del governo Draghi non è solo complessa e irta di ostacoli, ma anche terribilmente urgente.