Bene il Recovery fund, ma per salvare le nostre economie serve una nuova “Bretton Woods”

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La sede della Conferenza di Bretton Woods
La sede della Conferenza di Bretton Woods

Il Recovery fund è una grande opportunità ma non sarà sufficiente senza il trasferimento degli investimenti dal mercato finanziario all’economia reale.

Per salvare le nostre economie dalla crisi che stiamo vivendo, è innanzitutto necessaria un’analisi dell’attuale capitalismo. Occorre partire dalla crisi finanziaria del 2008 a cui oggi si va sommando la tragedia pandemica. Scriviamo sommando, in quanto nonostante gli sforzi profusi, all’avvio della crisi sanitaria ancora erano ben presenti gli effetti recessivi della crisi finanziaria del 2008. Il crac di quell’anno e la lunga recessione che ne è seguita hanno offerto la prova più evidente che il capitalismo occidentale non è più in grado di generare una crescita sostenuta. Per tamponare la crisi i governi sono stati costretti a riversare una quantità di denaro pubblico senza precedenti nel salvataggio delle banche che con le loro procedure creditizie avevano fatto esplodere la crisi.

Negli Stati Uniti, i prestiti di emergenza della Federal Reserve a 30 banche e altre società hanno toccato il record di 1.200 miliardi di dollari. Nel Regno Unito, l’esposizione dello Stato per gli aiuti alle banche sotto forma di liquidità e garanzie ha raggiunto un picco di 1.162 miliardi di sterline. L’enorme tonfo del Pil e l’aumento della disoccupazione hanno indotto notevoli incrementi dei debiti pubblici, per via del calo degli introiti fiscali e dell’entrata in azione degli ammortizzatori sociali collegati agli esborsi dei sistemi di welfare: nel 2009-2010, questi disavanzi hanno toccato livelli pari al 32,3 per cento del Pil in Irlanda, il 15,2 in Grecia, il 12,7 negli Stati Uniti, il 10,8 nel Regno Unito, l’8,8 in Giappone e il 7,2 in Francia. La crisi finanziaria ha messo a nudo le debolezze di fondo del funzionamento e della regolamentazione del sistema finanziario mondiale, come ha ammesso a denti stretti l’ex presidente della Federal Reserve Alan Greenspan nella sua deposizione di fronte al Congresso.

Ma questi sforzi non hanno affrontano il problema fondamentale: l’incapacità delle moderne economie capitalistiche di generare una quantità di investimenti pubblici e privati nell’economia reale sufficiente ad alimentare la crescita della domanda. Nella maggior parte delle economie sviluppate, la disoccupazione è rimasta al di sopra dei livelli pre-crisi: in 28 dei 33 paesi Ocse per cui sono disponibili dati comparabili, nel 2014 il numero dei senza lavoro era più alto che nel 2007; anche nei paesi in cui la disoccupazione è più bassa che nel 2007, i salari reali in gran parte sono rimasti fermi. Nel Regno Unito, dove l’occupazione è cresciuta, i salari reali hanno subito il calo più drastico dal 1964. Alla base di questo deludente andamento della crescita c’è un crollo clamoroso degli investimenti nel settore privato. Il declino degli investimenti è collegato anche all’eccessiva «finanziarizzazione» delle nostre economie.

Il Recovery fund è una grande opportunità ma non sarà sufficiente senza politiche transnazionali in grado di garantire il trasferimento di capitali sotto forma di investimenti dal mercato finanziario all’economia reale. Serve una nuova “Bretton Woods”, ovvero un accordo tra le economie dei paesi Euro-Atlantici che attraverso politiche fiscali comuni favoriscano questo processo. Le ricette fin qui proposte sono state già ampiamente sperimentate con la crisi non risolta del 2008, e i risultati sono stati deludenti. Di fronte a questa drammatica pandemia, serve un cambio radicale di paradigma. Certo il fatto che il consulente economico di Mario Draghi sia il Professor Giavazzi non ci lascia ben sperare sul fatto che le ricette possano cambiare, almeno per l’Italia. Ma forse su questo ci sbagliamo noi.