L’Italia come esperimento

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Il governo Draghi
Il governo Draghi

I prossimi mesi saranno cruciali per l’Italia e per l’Europa: ma le riforme e il Recovery fund potrebbero essere solo una nuova metamorfosi del sistema ordoliberale.

L’Italia come esperimento: è questa la chiave di lettura della situazione attuale offerta da Ida Dominijanni nel suo articolo su Internazionale. Il nuovo governo ha appena incassato la fiducia della Camera ed è dunque pienamente operativo. Un governo ora definito di ‘salvezza nazionale’, ora ‘l’unico possibile’; di certo è un governo che si propone di portare a termine riforme di enorme portata pur poggiando su un groviglio di contraddizioni.

È anche un governo, come nota Dominijanni, “con l’età media più alta di quello precedente, presieduto e impreziosito da competenze e orientamenti immancabilmente e implacabilmente risalenti al mondo e all’establishment pre-pandemico.” In effetti dispiace l’assenza, nei ruoli chiave, di esponenti anagraficamente più vicini alla next generation, ossia la generazione che (si spera) beneficerà delle grandi riforme promesse.

Nel suo discorso, Draghi paragona il contesto odierno a quello del secondo dopoguerra. “Nel 1945 – sottolinea tuttavia Dominijanni – a unirsi furono tre grandi tradizioni politiche radicate nella cultura popolare, mentre oggi sono partiti malmessi e senza radicamento, sormontati da una corona, nel senso regale del termine, di tecnici più politicamente attrezzati dei politici.

Da questo punto di vista, Draghi ha espresso alcuni indirizzi ben chiari. Alcuni severi moniti a Salvini (no al sovranismo, sì all’irreversibilità dell’euro, sì a una fiscalità progressiva), la necessità di rispettare certe tempistiche nella gestione dell’emergenza (il riferimento è al provvedimento di chiusura degli impianti sciistici) e una chiara presa di posizione sulla parità di genere (sulla quale il Partito Democratico, con i suoi tre ministri uomini, è inciampato malamente).

Oltre a fronteggiare l’emergenza sanitaria, il governo avrà il compito di guidare la ripartenza: ma su quali basi? È qui che l’Italia diventa esperimento. L’emergenza, secondo Dominijanni, sarebbe un’occasione per la creazione di un nuovo ordine, e che “dalla pandemia l’Europa, non solo l’Italia, può uscire riconvertendo in qualche modo la filosofia economico-politica sulla quale è nata e cresciuta. L’Italia è il laboratorio di questo esperimento, che non può fallire pena il fallimento dell’Unione”. Il programma di governo, dunque, ricalca in toto le direttive europee, mettendo al centro la transizione ecologica e digitale, la formazione, la ricerca, le infrastrutture, la riforma del fisco, della giustizia civile e della pubblica amministrazione. Senza dimenticare la ristrutturazione del sistema sanitario nazionale (vittima eccellente del neoliberismo).

In questo programma c’è proprio tutto? Sembra di no. Dominijanni concentra la sua attenzione innanzitutto sul modello di sviluppo, che rimarrà quello profondamente squilibrato degli ultimi decenni. Si faranno grandi cose, ma si faranno alla vecchia maniera, con tutte le problematiche conseguenti, soprattutto in tema di disuguaglianza. Sarebbe stato auspicabile il passaggio a un modello di sviluppo più equo, che desse priorità ai lavoratori e non ai capitali, a maggior ragione perché la transizione digitale e la riconversione industriale avranno costi sociali altissimi. Altri punti opachi riguardano la questione del sud, le cui prospettive sono state “ancora una volta ridotte alla bonifica di un ambiente criminale per definizione e poco attrattivo per gli investimenti rigorosamente privati”, la giustizia penale, i dettagli della progressività fiscale e la sanità territoriale.

Del resto – nota ancora Dominijanni – il linguaggio, come sempre, non mente: e tra le persone chiamate capitale umano, i beni comuni naturali chiamati capitale ecologico, il salvataggio dei lavoratori ma non dei lavori, i diritti dei rifugiati ma non dei migranti, la parità di genere come parità di condizioni competitive, siamo sempre in pieno lessico ordoliberale. La filosofia europea si riconverte, per l’appunto, ma non cambia.

Su una cosa Mario Draghi ha ragione. L’uscita della pandemia non sarà come riaccendere la luce. E bisognerà capire se l’«esperimento Italia» filerà secondo i piani o se nel laboratorio si svilupperà qualche mutazione imprevedibile.